mercoledì 5 marzo 2008

L’arte leggera del far ridere

Imitatore, comico, attore di teatro e di cinema, conduttore televisivo, donnaiolo.
Ma più di tutto, gran parlatore.
Questo era Walter Chiari.
Quella sua capacità innata e imprevedibile di intrattenere il pubblico per ore, di improvvisare, di interpretare diversi personaggi.
Tanto che alla fine la sua non era più una recita, ma una tranquilla e spontanea chiacchierata tra amici.
E per chi lo ha amato non c’è omaggio più grande che possa fargli che una chiacchierata in suo onore.
Questo l’intento di Matteo Belli – mimo-fantasista, attore e autore di teatro – che stasera alle 22.00 al Teatro Eden-I Portici Hotel porta in scena Le guerre di Walter.
Uno spettacolo su testi originali di Walter Chiari in omaggio alla sua arte affabulatoria, che Matteo Belli dedica «…a tutti coloro che pensano che l’uomo diventi adulto quando ritrova la serietà del gioco di un bambino, a tutti coloro che ad uno Shakespeare fatto male preferiscono una barzelletta raccontata bene».
L’attore bolognese non è nuovo a questo genere di teatro solista: lui, il palco e il suo pubblico anche in "Gente intendete questo sermone"(monologhi giullareschi medioevali e moderni), uno dei suoi ultimi lavori.
In questi spettacoli-monologhi Matteo Belli cerca di riscoprire e riattualizzare per lo spettatore contemporaneo l’antica sapienza dell’intrattenimento, usando come unici strumenti il linguaggio corporeo, quello vocale, nella sua variegata gamma di timbri sonori, e la risata, il più nobile degli strumenti.
E ciò lo avvicina a quel gran monologhista che fu Walter Chiari, l’uomo, più che l’attore, che a detta di Gino Bramieri inventò il dialogo col pubblico.
Guerre – spiega Belli – perché Walter Chiari creò alcune delle sue più famose macchiette e storie – memorabili l’alpino Toni Betteton, i marziani, il sommergibile – nell’immediato dopoguerra, come se nella semplicità di una risata volesse indicare al Paese la strada per rinascere, per risollevarsi.
E se c’è un’eredità che Wallter Chiari ha lasciato agli italiani e ai comici che sono venuti dopo di lui – oltre all’indimenticabile Sarchiapone – è proprio quell’arte leggera di saper ridere e prendere con ironia gli alti e bassi della vita.
Per uno come lui che visse con entusiasmo una vita di corsa, in cui uomo e personaggio, scena e fuoriscena si mescolavano, rincorrendo successi e delusioni, questa esuberanza e leggerezza furono forse la sua arma vincente, nella vita e nello spettacolo.
Ciò che lo rendeva più umano, e perciò amato, anche se non da tutti e forse in ritardo.
Seppe ridere e prendersi in giro fino all’ultimo, anche quando ricoverato in clinica per un malore, poco prima di venire colpito da un infarto, dichiarò: «Sto bene sto bene, il mondo dello spettacolo non può fare a meno di me».
Si congedò lasciandoci un’ultima battuta: «Non vi preoccupate, è tutto sonno arretrato», incisa per i posteri nel suo epitaffio.
Katia Grancara

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