domenica 14 dicembre 2008

Come Dio Comanda, la favola nera di Salvatores

«Dall’ultimo romanzo di oltre 500 pagine di Niccolò Ammaniti si potevano fare più film, perché è un libro difficilissimo e pieno di personaggi». A parlare è Gabriele Salvatores, il regista che dopo aver già portato sullo schermo un altro suo romanzo Io non ho paura (2003) torna con Come Dio comanda, nelle sale dal 12 dicembre. E’ stato lo stesso Ammaniti – precisa sempre Savaltores – a fare la scelta estrema, quella cioè di rimanere concentrati sul rapporto padre-figlio ed eliminare tutto il resto. C’è spazio solo per un altro personaggio nel film, Quattro Formaggi (Elio Germano), che con la testa non sta tanto bene per via di un incidente coi fili dell’alta tensione. Una scelta drastica, ma l’unica possibile per poter mantenere alto il livello emotivo del film, per riuscire ad estrarre dal romanzo il “cuore emotivo”.

Rino (un bravissimo Filippo Timi) e Cristiano (il giovane esordiente Alvaro Caleca) Zena vivono in una provincia del nord – il film è stato girato in Friuli – in una landa desolata alle pendici di montagne maestose. Casette a schiera, capannoni industriali, immense segherie… Ma intorno un mondo quasi spettrale, fatto di boschi e montagne impenetrabili, di fiumi che si inabissano lasciando scoperti i sassi dei greti asciutti. Rino, il padre, è un lavoratore precario, Cristiano fa le scuole medie. Il loro è un rapporto d’amore tragico e assoluto. Un amore sbagliato, fatto di insegnamenti sbagliati che il padre impartisce al figlio, ma potentissimo. E soli contro tutti alimentano questo sentimento reciproco, che si nutre anche della rabbia che nasce da questa loro esistenza ai margini. «Non condivido nulla di quello che il padre insegna al figlio, ma nel farsi dare una testata per fargli capire che deve imparare a difendersi c’è amore. E quanti padri, oggi – si chiede il regista – hanno mai giocato a lotta col proprio figlio?». Rino, Cristiano e Quattro Formaggi sono tre disgraziati che hanno imboccato la “cattiva strada”, ma – e qui Salvatores cita De André – «C’è amore un po’ per tutti e tutti quanti hanno un po’ d’amore sulla cattiva strada».

A livello tecnico, questa tensione emotiva, questa prossimità coi protagonisti della storia è stata raggiunta girando praticamente tutto il film con la macchina in spalla, muovendosi con gli attori, per mettere lo spettatore dentro il personaggio, sempre a livello occhi. Dei lunghi piano sequenza, senza interruzioni con scene di campo/controcampo, togliendo così anche agli attori i punti di riferimento, così che fossero costantemente al centro dell’inquadratura e la loro presenza in scena fosse completa. «Quello che mi piace di Ammaniti – racconta Salvatores parlando del suo sodalizio con lo scrittore – è che racconta l’Italia di oggi con dei personaggi e delle storie archetipe, ancestrali». I fatti e i temi di cronaca – nel romanzo come nel film – vengono sfiorati, ma restano ai margini. Sono storie dove c’è un “prima”, c’è una notte tempestosa, e c’è un “dopo”. Come nelle commedie o nei drammi di Shakespeare. E come in Shakespeare, anche nel romanzo e nel film ci sono tre personaggi: c’è un re, padre-padrone, c’è un figlio-principe adolescente e c’è un fool, un buffone, una sorta di folletto o spirito della foresta, cui Elio Germano racconta di essersi ispirato per entrare nel ruolo di Quattro Formaggi. E nel film anche Rino, Cristiano e Quattro Formaggi si ritrovano di notte, in un bosco, durante una tempesta… La natura si scatena e in quelle notti si scatenano anche i sentimenti.

«Ogni cuore ha una crepa perché una luce possa entrarvi» dice Salvatores citando le parole di una canzone di Leonard Cohen e Rino, un padre che inizia come un personaggio detestabile, mostrerà di avere anche lui la sua crepa. Come può capitare di scoprire invece che la tenerezza che ispirava un personaggio era mal riposta.

Piccole curiosità. In Come Dio Comanda Salvatores fa incontrare il giovane protagonista Cristiano con il protagonista, allora giovanissimo, di Io non ho paura – è l’infermiere nella prima scena in ospedale – e rivela di avere scelto il giovane e promettente Alvaro Caleca tra centinaia di ragazzini presentatisi ai provini perché appena visto gli aveva ricordato un ragazzino cui si era affezionato conosciuto in Romania girando un film-documentario.

Katia Grancara

venerdì 5 dicembre 2008

Dal carcere al Teatro

Il carcere esce e va in città. E’ la prima volta che accade a Bologna, che dei detenuti escano dalla struttura penitenziaria per salire da attori sul palco di un teatro cittadino, e l’evento – che porterà il 10 e l’11 dicembre (ore 21,30) il Cantico degli Yahoo dalla Casa Circondariale della Dozza, dov’è stato allestito con i detenuti della Sezione penale maschile e presentato lo scorso giugno, alla Sala InterAction dell’Arena del Sole che l’ha inserito nel suo cartellone – ha rischiato di sfumare. Lo racconta con un po’ di amarezza il regista Paolo Billi, per la prima volta impegnato con questo “Esperimento di Teatro alla Dozza” in un carcere adulti (decennale è l’esperienza del suo Teatro del Pratello all’Istituto Penale Minorile di Bologna), ma lo fa ringraziando chi ha creduto nel valore dell’evento – per i detenuti e per la città che li incontra – e l’ha reso possibile, a partire dal Direttore della Dozza Gianluca Candiano e dal Garante dei diritti delle persone private della libertà personale.
E proprio Candiano – insediatosi alla Dozza da 20 giorni, ne era stato vicedirettore fino al 2003 – sottolinea come l’esperienza teatrale, e quindi il lavoro sulla corporeità e sulle emozioni, assuma un significato ancora più importante in un soggetto privato della propria libertà e si impegna a rilanciare simili iniziative, pensando anche a percorsi permanenti. Un impegno non da poco, se si pensa alle condizioni “poco dignitose” (sovraffollamento, carenza di organico) in cui versa il carcere di Bologna, denunciate dal personale della Polizia Penitenziaria e dallo stesso Direttore, che afferma le sue intenzioni di portare formalmente la questione Dozza nelle sedi istituzionali cittadine. Una situazione critica, che avvalora il lavoro fatto dal regista Billi con i detenuti e il fatto di essere riusciti a portare lo spettacolo fuori dal carcere, opportunità non prevista inizialmente.
Il Cantico degli Yahoo è liberamente ispirato all’opera satirica di J. Swift, in particolare all’ultimo viaggio di Gulliver nel paese degli Houyhnhnm, governato da saggi cavalli che tengono sottomessi gli Yahoo, immondi animali tanto simili alla razza umana. E’ un oratorio per voci e pianoforte, con le musiche composte ed eseguite da Daniele Furlati, senza allestimento scenico, e vedrà sul palco quattro dei sette detenuti-attori coinvolti nella versione originale. E proprio a Gianfranco, Slim e Makram – che non hanno potuto usufruire secondo l’art 21 della possibilità giuridica di lavorare all’esterno per un periodo di 3 giorni (nel caso specifico assunti come attori dalla Compagnia del Pratello che ha prodotto lo spettacolo) – il regista dedica lo spettacolo. Ingresso da 8 a 15 euro. Informazioni 051- 2910910
Katia Grancara