giovedì 29 novembre 2007

Via Emilia, prossima uscita il west







E’ più bello il mito o la realtà? A questo proposito Paolo Simonazzi, medico reggiano con l’hobby della fotografia, non ha dubbi: «Il mito». E ce lo rivela col suo ultimo progetto – frutto di più di dieci anni di ricerca – Tra la via Emilia e il West, in mostra in questi giorni a Villa delle Rose (via Saragozza 228) a Bologna fino al 6 gennaio. Un viaggio lungo la millenaria Via Emilia – partendo dalla riviera adriatica e arrivando fino alla bassa – sulle tracce di quel sogno americano che a partire dagli anni ’50 si è diffuso in Emilia Romagna ed è riuscito nel tempo a connotare iconograficamente persino il paesaggio, lasciando tracce visibili nelle insegne di una Pensione Filadelfia o di un Old West Saloon. Sembra quasi un paradosso che in una regione rossa come l’Emilia ci sia potuto essere così tanto spazio per la bandiera a stelle e strisce. Eppure di segni ne ha lasciati tanti. Dalla musica col suo rock ‘n’ roll, al cinema di Hollywood, agli sport come il basket e il football, l’America ha costruito un immaginario all’interno del quale si sono formate intere generazioni. L’autore per primo, cresciuto con la musica di Bruce Springsteen. Ecco allora che questo suo viaggio diventa memoria storica e personale allo stesso tempo. E anche intima. Perché l’America, quella reale, il fotografo l’ha conosciuta. C’è un’ingenua curiosità dietro quegli scatti. Il suo è uno sguardo leggero, vivace, che coglie con ironia aspetti insoliti di questa invasione americana, come l’insegna Stalingrado Food, che racchiude forse il senso di un’ apparente contraddizione. Perché questa terra ha sì preso elementi della cultura e del costume americani, ma ha saputo trapiantarli con creatività nel proprio tessuto sociale. Ecco allora che possono convivere Harley Davidson, Lenin e crescentine. Qualche scatto ti può strappare un sorriso, ma a prevalere è quasi sempre una vena di nostalgia. In fondo il mito americano altro non è che il sogno, l’utopia, la ricerca di altro e di un altrove.
«Questo progetto è la realizzazione di un sogno – rivela l’autore – reso possibile grazie al coinvolgimento di molti amici». E questa sinergia tra pubblico e privato è visibile nei tanti nomi di enti ed imprese che hanno contribuito a dar vita a questa mostra. L’esposizione è stata realizzata dall’associazione ABC e curata dal MAMbo, con il sostegno dell’Istituto per i beni artistici culturali e naturali e il patrocinio della Regione Emilia Romagna
Da questa indagine fotografica ne è nato anche un libro, edito da Baldini Castaldi Dalai Editore e curato da Angela Madesani.
Katia Grancara



Il Mondo Fluo di Cikita Z.

Il suo mondo ideale è fatto di visioni acide e coloratissime, fantasie pop, giocose ed estremamente femminili. Cikita Z. è un’artista torinese, impegnata nella street art, nella grafica e nel vjing, di cui si è innamorata lo spazio bolognese Sugar Babe, un po’ marchio di fabbrica, un po’ negozio incentrato sulla ricerca di stilisti contemporanei e sempre più galleria. Tra le sue pareti di via San Felice 25/d, dove trova posto, al piano rialzato anche una console da dj con ospiti frequenti, sono esposte da oggi alle 18 e fino a gennaio nella mostra Fluo Flavors, tavole della giovane “visionaria” che ha anche realizzato grafiche esclusive per la prossima collezione Sugarbabe in arrivo nel marzo 2008.
Bologna Freelance l’ha intervistata.

Quando hai avuto consapevolezza di questa passione?
La consapevolezza l’ho sempre avuta, da quando qualcuno mi ha regalato quelle insulse confezioni di tanti pennarelli posizionati in scala di colore. Ma poi mi era stato suggerito di studiare lingue estere invece dell’artistico.
E’ lavorando come accompagnatrice nel museo “Het Domain” di arte contemporanea di Sittard, nel sud dell'Olanda, dove facevo la guida di lingua inglese, francese o italiana, che mi sono poi decisa a lavorare in quell'ambiente. E grazie a quelle persone ho scoperto la forza di esprimere cio’ che davvero sentivo.
Da dove trai le tue ispirazioni generalmente?
Da qualsiasi visione, entrando nei supermercati o nelle chiese barocche, a Torino ce ne sono molte, dorate, kitch e opulente.
Ci parli dei tuoi ex voto?
In passato, molto spesso si ricorreva alla creazione di un EX VOTO per aver ottenuto ciò che si era chiesto in un momento di difficoltà. Queste tavolette votive erano dei quadretti di materiale vario che riproducevano mediante un semplice disegno pittorico "la scena del miracolo". Che la preghiera fosse stata esaudita è facile immaginarlo, il fatto stesso della realizzazione dell' offerta votiva ne era la conferma. Per non dimenticare la tradizione e produzione degli "ex voto", che non risulta popolare come in passato, ho creato un nuovo percorso narrativo ironico e provocatorio, immaginando la superficialità dei desideri e delle richieste della societa' contemporanea.
Come ti è venuta l'idea del tuo nome, Cikita z.?
Veramente questo soprannome e' nato dalla mia compagna di banco, che faceva finta di parlare spagnolo... ed e' rimasto nel tempo, ci ho poi aggiunto una Z. che non mi dispiace ed e' l'iniziale del mio cognome. Mi piace pensare di avere un nome ironico e poco snob.
Cosa ti piace fare quando non lavori?

Mi piace spazzolare David Lynch che e' il mio gatto nero, navigare in Internet, scrivere lettere vere agli amici o spedire regali improbabili o dolci dentro pacchetti postali.

Esprimersi serve anche a lanciare un messaggio. Qual è il tuo?

Può essere facile pensare che io voglia a tutti i costi interpretare o tradurre la realtà in modo felice e spensierato, invece esaspero la superficie della tela, le situazioni e i colori, anche in modo drammatico e cinico, rimanendo consapevole che questa enfasi puo' infastidire le persone più razionali o con gusti più minimali.
Claudia Morselli

Non solo Dive. Le pioniere del cinema italiano


Prima nazionale a Bologna per una retrospettiva che si occupa dell'altra faccia del cinema muto femminile: quello fatto da donne e non dive.
“Non solo dive. Pioniere del cinema italiano”, dal 2 dicembre al cinema Lumière e al convento di Santa Cristina ci rivela che a inizio secolo il cinema non era fatto solo da attrici glamourose come ci tramandano i cliché.

Tra gli Anni Dieci e Venti l'industria della Settima Arte pullulava di manager, registe, scenografe, montatrici, comiche, stunt. Questo ci fa scoprire una ricerca che sta alla base del festival promosso dall'Associazione Orlando in collaborazione con l’Università, la Cineteca Nazionale e quella di Bologna. In programma una trentina di pellicole rare del cinema muto concentrate in dieci serate di proiezioni. Gran finale dal 14 al 16 dicembre con un convegno internazionale per riscoprire le biografie delle tante donne che, in modi differenti, e con maggiore o minore successo, furono nel cinema muto. Chi sono? Elvira Notari, Elvira Giallanella, Elettra Raggio, Astrea, Esterina Zuccarone, per citarne alcune. Ma non si deve far torto a Eleonora Duse o Francesca Bertini, dive sì, ma grandissime donne che si batterono per imporre le proprie scelte nella messa in scena dei loro film. Della retrospettiva fanno parte anche due pellicole restaurate dalla Cineteca Nazionale con supporto di Orlando, grazie a un finanziamento complessivo per il festival di 100.000 euro dal Ministero per i Beni Culturali: Umanità, di Elvira Giallanella del 1919 e ‘A santanotte, di Elvira Notari, rutilante melodramma napoletano del 1921.
Claudia Morselli

sabato 24 novembre 2007

La violenza illustrata parla alle donne

Compie due anni e viene organizzata oggi e domani a Bologna, Cappella Farnese di Palazzo d’Accursio, “La Violenza Illustrata”, manifestazione contro la violenza alle donne curata da Chiara Cretella. E coincide con due importanti iniziative: la marcia a Roma oggi contro le violenze maschili alle donne e la giornata internazionale contro la violenza alle donne domani.
Sappiamo benissimo tutti che “una” giornata non è, di per sé, la soluzione di tutti i problemi. L’impegno deve essere costante e moltiplicato. E’ questa la posizione dell’Associazione bolognese “La Casa delle Donne”, che riesce a dare e costruire iniziative estremamente importanti e di grande valore, fra cui questo festival sostenuto dall’amministrazione comunale.
“In Italia questa giornata non è molto conosciuta - spiega la socia fondatrice dell’ Associazione ‘La Casa delle Donne’, Anna Pramstrahler - sono solo tre anni che si fanno iniziative culturali, però finalmente quest’anno ci sono almeno 300 iniziative in tutte le città, dove si cerca di lavorare e di celebrare la giornata per fermare la violenza contro le donne, quindi non c’è più solo l’8 marzo che è la data storica”.
Il filo conduttore del festival è trovare un linguaggio che non sia il solito convegno, ma che sappia parlare ai giovani con un approccio diverso, quello artistico.
Oltre a un’importante mostra di dieci quadri dell’artista Anija Seedler, nel corridoio di Manica Lunga al primo piano di Palazzo d’Accursio, “La violenza illustrata” parla alla città attraverso due documentari e un film: “Tarnation” di Jonathan Caouette, “Catherine”, selezioni di immagini di girato “familiare” a cura dell’asscoiazione Home Movies e “Il vestito da sposa” di Fiorella Infascelli con Piera Degli Esposti, che partecipa alla due giorni gratuitamente. Alla galleria “Il Graffio” di via Sant’Apollonia 23/25 dalle 12 alle 20 di domenica “Testimoni silenziose-luoghi d’incontro”. Informazioni: 051333173 o su www.casadonne.it.
Claudia Morselli

Time Code: nuovi codici temporali per MAMbo

Immediatamente dopo la Mostra Vertigo, che ha documentato in un percorso storico l’influenza delle tecnologie sull’esperienza artistica del XX sec, il Mambo (Museo d’Arte Moderna di Bologna) continua la riflessione sulle possibilità espressive dei nuovi media.
Lo fa con Time Code, rassegna di video-arte di sedici autori nazionali e internazionali scelti dalle curatrici Fabiola Naldi e Alessandra Pioselli. Da definizione tecnica del metodo di sincronizzazione digitale dei materiali audiovisivi “Time Code” diventa indagine sugliaspetti della temporalità insiti nel linguaggio video.
Il debutto ha visto insieme le curatrici e le due prime artiste, Loulou Cherinet e Kjersti Sundland. Della prima, già presente nella Biennale Arte di Venezia 2007, è stata presentata Minor Field Study del2006, doppia proiezione che, partendo da riprese dell’antropologo Billy Marius al confine tra Congo e Camerun, ripropone immagini parallele ma trasposte nel contesto di Ormige, un sobborgo di Stoccolma. Cherinet opera una “traduzione” spazio-temporale usando elementi di analogia per evidenziare le differenze dei contesti sociali e culturali. L’ifluenza dei media sulla costruzione dell’identità è altresì un aspetto delle opere di Kiersty Sundland. Il suo video Enduring Portraits (2007) simula, in un tempo prolungato ma del tutto virtuale, il realistico processo di invecchiamento di un volto femminile ottenuto attraverso il campionamento di due filmati di due volti simili ma di età diverse. Ma Time Code inaugura anche una nuova modalità espositiva per il Mambo. Come ha sottolineato il direttore Gianfranco Maraniello “i video costituiranno una presenza interstiziale” all’interno del Museo: proiettati in punti inconsueti, interagiranno con gli spazi della struttura e con le altre iniziative concomitanti. Ogni coppia di video resterà visibile, con accesso gratuito, fino alla successiva inaugurazione che intende essere, ogni volta, occasione di incontro tra il pubblico, in particolare gli studenti, gli artisti e le curatrici-ospiti. Otto gli appuntamenti previsti. Il prossimo è il 6 dicembre alle 18.30 con gli artisti Pavel Braila moldavo) e Roberta Piccioni di Riccione.

Marta Franchi

venerdì 23 novembre 2007

Ian Anderson: il filosofo di Designers Republic


Anche Bologna
ora è un inspirational place. Con l’appuntamento di qualche giorno fa all’Accademia delle Belle Arti si è conclusa la terza edizione degli Inspirational Design Happenings, gli incontri con designer di fama internazionale organizzati da Bombay Sapphire, il premium gin inglese prodotto dal gruppo Bacardi – Martini. Da quest’anno Bologna si è aggiunta alle altre città italiane – Torino, Milano, Roma, Genova, Venezia – che dal 2005 con questa iniziativa sono diventate protagoniste della cultura visiva contemporanea.
Ospite dell’Happening di Bologna è stato Ian Anderson, il fondatore di The Designers Republic. Proveniente da Sheffield TDR è il gruppo che più di ogni altro ha contribuito a definire la tendenza grafica degli anni ‘90, legandosi soprattutto alla ricerca estetica, alla sperimentazione e alla musica elettronica contemporanea.
Immersi in un’atmosfera ovattata dominata da una luce blu che richiamava il colore della bottiglia del famoso gin e dai lavori del designer che si succedevano in loop sullo schermo gigante, gli spettatori hanno assistito quasi ad una lezione di vita più che di design. La conversazione è entrata subito nel vivo riconoscendo il grande merito che i TDR hanno avuto nell’unire il linguaggio visivo alla comunicazione, intuendo l’importanza e le potenzialità di questo binomio. La capacità di scoprire ed esplorare modi differenti di esprimere un’idea e di giocare con gli elementi: questo il loro punto di forza e ciò che ha fatto la differenza. Nelle parole di Anderson si coglie un approccio quasi filosofico al proprio lavoro, frutto forse – come ha rilevato l’intervistatore – della sua formazione umanistica e laurea in filosofia. Più volte l’artista ha ribadito la sua “non necessità di essere designer” e sottolineato piuttosto la consapevolezza – da cui nasce la necessità – di avere delle cose, delle idee da comunicare. Sarebbe stata questa la spinta propulsiva che lo ha portato poi a diventare designer. A questo concetto si è appellato anche quando gli è stato chiesto un parere sulla questione dell’imitazione, di cui loro stessi sono stati vittime. «Il designer – spiega Anderson – ha una grande opportunità: quella di poter comunicare delle cose, delle idee. Sarebbe un peccato che questa opportunità venisse sprecata copiando gli altri». Nessuna pretesa di poter cambiare la società, ma se con il loro progetto o prodotto riescono ad influenzare il modo di vedere e di percepire le cose anche solo di due tre persone hanno raggiunto l’obiettivo. In ogni lavoro – che sia la copertina di un album o l’interfaccia per un videogame – i TDR cercano di creare un mondo che ruoti attorno ad esso. Di qui l’attenzione particolare all’audience finale, pur cercando ogni volta di non rispondere mai troppo alle aspettative del proprio pubblico. Quando gli si fa notare che la loro evoluzione artistica ha seguito un andamento ciclico, essendo passati da un’iniziale esuberanza – di colori forme e messaggi – ad una fase minimalista per ritornare ad una nuova vivacità, il designer molto filosoficamente risponde che anche loro, come tutte le cose umane, hanno un andamento ciclico. La cosa importante è che ci sia e si possa riconoscere nella propria storia una sorta di manifesto, anche se questo non è intoccabile. Ci deve essere coerenza, e questo fa sì che una delle prime regole che i TDR rispettano sia quella di piacere a se stessi, prima, per poi piacere agli altri, anche quando gli altri sono la Sony o la Coca Cola. Anderson rivela poi un’altra convinzione dei TDR: mai più di 11. Un numero maggiore – spiega il designer – significherebbe dover scendere a compromessi, perché più si è e più diventa difficile mettere insieme e d’accordo idee diverse. E il compromesso è proprio ciò a cui i TDR non vogliono piegarsi: ogni loro prodotto o progetto è frutto condiviso dell’intero gruppo.
Katia Grancara