venerdì 23 novembre 2007

Ian Anderson: il filosofo di Designers Republic


Anche Bologna
ora è un inspirational place. Con l’appuntamento di qualche giorno fa all’Accademia delle Belle Arti si è conclusa la terza edizione degli Inspirational Design Happenings, gli incontri con designer di fama internazionale organizzati da Bombay Sapphire, il premium gin inglese prodotto dal gruppo Bacardi – Martini. Da quest’anno Bologna si è aggiunta alle altre città italiane – Torino, Milano, Roma, Genova, Venezia – che dal 2005 con questa iniziativa sono diventate protagoniste della cultura visiva contemporanea.
Ospite dell’Happening di Bologna è stato Ian Anderson, il fondatore di The Designers Republic. Proveniente da Sheffield TDR è il gruppo che più di ogni altro ha contribuito a definire la tendenza grafica degli anni ‘90, legandosi soprattutto alla ricerca estetica, alla sperimentazione e alla musica elettronica contemporanea.
Immersi in un’atmosfera ovattata dominata da una luce blu che richiamava il colore della bottiglia del famoso gin e dai lavori del designer che si succedevano in loop sullo schermo gigante, gli spettatori hanno assistito quasi ad una lezione di vita più che di design. La conversazione è entrata subito nel vivo riconoscendo il grande merito che i TDR hanno avuto nell’unire il linguaggio visivo alla comunicazione, intuendo l’importanza e le potenzialità di questo binomio. La capacità di scoprire ed esplorare modi differenti di esprimere un’idea e di giocare con gli elementi: questo il loro punto di forza e ciò che ha fatto la differenza. Nelle parole di Anderson si coglie un approccio quasi filosofico al proprio lavoro, frutto forse – come ha rilevato l’intervistatore – della sua formazione umanistica e laurea in filosofia. Più volte l’artista ha ribadito la sua “non necessità di essere designer” e sottolineato piuttosto la consapevolezza – da cui nasce la necessità – di avere delle cose, delle idee da comunicare. Sarebbe stata questa la spinta propulsiva che lo ha portato poi a diventare designer. A questo concetto si è appellato anche quando gli è stato chiesto un parere sulla questione dell’imitazione, di cui loro stessi sono stati vittime. «Il designer – spiega Anderson – ha una grande opportunità: quella di poter comunicare delle cose, delle idee. Sarebbe un peccato che questa opportunità venisse sprecata copiando gli altri». Nessuna pretesa di poter cambiare la società, ma se con il loro progetto o prodotto riescono ad influenzare il modo di vedere e di percepire le cose anche solo di due tre persone hanno raggiunto l’obiettivo. In ogni lavoro – che sia la copertina di un album o l’interfaccia per un videogame – i TDR cercano di creare un mondo che ruoti attorno ad esso. Di qui l’attenzione particolare all’audience finale, pur cercando ogni volta di non rispondere mai troppo alle aspettative del proprio pubblico. Quando gli si fa notare che la loro evoluzione artistica ha seguito un andamento ciclico, essendo passati da un’iniziale esuberanza – di colori forme e messaggi – ad una fase minimalista per ritornare ad una nuova vivacità, il designer molto filosoficamente risponde che anche loro, come tutte le cose umane, hanno un andamento ciclico. La cosa importante è che ci sia e si possa riconoscere nella propria storia una sorta di manifesto, anche se questo non è intoccabile. Ci deve essere coerenza, e questo fa sì che una delle prime regole che i TDR rispettano sia quella di piacere a se stessi, prima, per poi piacere agli altri, anche quando gli altri sono la Sony o la Coca Cola. Anderson rivela poi un’altra convinzione dei TDR: mai più di 11. Un numero maggiore – spiega il designer – significherebbe dover scendere a compromessi, perché più si è e più diventa difficile mettere insieme e d’accordo idee diverse. E il compromesso è proprio ciò a cui i TDR non vogliono piegarsi: ogni loro prodotto o progetto è frutto condiviso dell’intero gruppo.
Katia Grancara

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